Woke: un fallimento ideologico 🥴
18 feb 2025
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Negli ultimi anni, il termine woke è diventato sempre più diffuso, associato a un’ideologia che promuove l’inclusività e la giustizia sociale. In teoria, il principio sembra positivo: garantire a tutti gli stessi diritti senza discriminazioni. Tuttavia, nella pratica, il movimento sembra spesso contraddirsi, trasformandosi in una forma di pensiero unico dove il dissenso non è tollerato.
Esclusione mascherata?
L’inclusività, per definizione, dovrebbe significare l’estensione degli stessi diritti a tutti, senza creare nuove discriminazioni. Tuttavia, nella realtà, chiunque non si allinei completamente ai dettami woke viene emarginato o etichettato negativamente.
Se analizziamo il concetto stesso di inclusività, ci accorgiamo che non è altro che un’estensione moderna di principi già noti: tutti devono avere gli stessi diritti e nessuno deve essere escluso. Peccato che questo sia un plagio bello e buono di Marx, con la differenza che almeno il comunismo aveva una struttura ideologica solida. Il woke, invece, sembra essere un’imitazione superficiale, priva di un progetto concreto.
Un esempio concreto di questa distorsione ideologica è il modo in cui viene percepita una frase come:
“Non ho problemi con i gay finché non interagiscono con me.”
Molti la considerano omofoba, ma in realtà potrebbe semplicemente riflettere una preferenza personale, senza alcun intento discriminatorio. Allo stesso modo, se una persona afferma di non voler interagire con i preti, non viene automaticamente accusata di anticlericalismo estremo. Il punto è che non si può imporre un’interazione forzata con chiunque, eppure nel contesto woke, questa semplice scelta personale viene spesso interpretata come un atto discriminatorio.
Il paradosso della tolleranza selettiva
L’ideologia woke sembra applicare un principio di tolleranza condizionata: sei incluso solo se accetti tutte le sue regole senza riserve. Chi solleva dubbi o critiche viene rapidamente escluso dal dibattito, accusato di essere razzista, sessista o intollerante.
Questo atteggiamento ha portato a fenomeni come la cancel culture, che non è altro che una forma moderna di censura. Figure pubbliche, professionisti e persino semplici utenti sui social sono stati “cancellati” per aver espresso opinioni non perfettamente allineate con l’ortodossia woke. Il problema non è il confronto di idee, ma l’impossibilità di dissentire senza subire conseguenze.
Il fallimento del modello woke
L’estremismo woke ha avuto l’effetto opposto a quello desiderato: invece di creare una società più aperta e inclusiva, ha radicalizzato ulteriormente il dibattito politico e sociale. La polarizzazione generata ha contribuito all’ascesa di movimenti e partiti estremisti, alimentando un clima di scontro continuo.
Senza un leader carismatico o una visione politica solida, il movimento woke ha mostrato i suoi limiti, riducendosi a una serie di dogmi imposti piuttosto che a un vero progetto di cambiamento sociale. Il risultato? La sua stessa autodistruzione.
E adesso?
Con il declino dell’ideologia woke, ci si chiede quale sarà il suo lascito. È possibile che, dopo aver contribuito alla nascita di nuove tensioni sociali, finisca nel dimenticatoio, sostituita da un’altra corrente ideologica più pragmatica. Tuttavia, il danno che ha causato – dalla censura alla frammentazione del dibattito pubblico – resterà come monito per il futuro.
La vera inclusività non dovrebbe mai trasformarsi in esclusione mascherata. Se un’ideologia si propone di combattere la discriminazione, ma finisce per crearne di nuove, forse è il caso di riconsiderarne l’efficacia.
Mi chiedo ora, mentre sentiamo gli ultimi rantoli di questa ideologia e vi ringraziamo per aver riportato in auge partiti estremisti, voi che fine farete con il nuovo Führer?